L'Autorità  
     
 

Aristotele (384 322 aC) ha proposto una serie di leggi che hanno spiegato il cielo e la terra. Queste leggi hanno continuato d'essere accettate dal mondo in generale per molto tempo. Erano basate sull'idea di quattro elementi la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco - con un quinto, l'etere, per spiegare i corpi celesti. Secondo lui, gli oggetti tendono ad andare verso la parte dell'universo che è composto della stessa materia. Il fumo tende a salire visto che è composto principalmente di aria. Il fuoco sale più velocemente del fumo perché vuole riunirsi con i fuochi del cielo. Gli oggetti solidi cadono perché sono principalmente fatti di terra che vuole riunirsi con la Terra. Donde la Terra, composta principalmente dell'elemento 'terra', l'elemento più pesante, è di necessità, al centro dell'universo, semplicemente perché è l'oggetto più pesante dell'universo. Ha anche detto che gli oggetti si muovono solo se una forza sta applicando. Non importa che p.e. una freccia continui in volo nonostante l'assenza d'una forza dopo la forza iniziale.

La sua teoria di gravità diceva che la velocità con cui un oggetto cade è costante e proporzionale al suo peso. Più pesante è l'oggetto, più consiste di 'terra' e dunque più è la sua velocità mentre cerca di ritrovare la sua posizione naturale. Ma è ovvio che quando si fa cadere qualcosa, la velocità è più grande quando finalmente colpisce il terreno di quand'è fatto cadere. La spiegazione? Che i corpi caduti avanzano più giubilanti, e dunque accelerano, mentre avvicinano verso la loro luogo naturale di riposo, il terreno. Questa era almeno una accettazione che la teoria dovrebbe essere modificata alla luce dei fatti. Comunque, le sue teorie, per lui una costruzione intellettuale, ma in realtà una storia, non avevano bisogno di essere falsificate o anche verificate sperimentalmente. Non era necessario agire così perché le sue teorie erano derivate dal senso più alto dell'uomo - la ragione - e dunque erano assiomatice. E quest'approccio alla scienza era accettato durante quasi 1800 anni, fino all'era di Galileo.

Ma Aristotele non si è confinato alla scienza. Si è anche pronunciato sulla moralità e, con l'assistenza più tardi di Thomas Aquinus, l'idea che la vera moralità era una legge naturale e dunque autoritaria e non suscettibile a cambiamenti una volta accettata. Per loro anche la moralità era assiomatica. Ma come gli assiomi di logica o di matematica non erano ovvi ai barbari o gli analfabeti - non possedendo l'abilità intellettuale o la raffinatezza dei filosofi greci o la chiesa e, quindi, non potevano vedere la verità chiaramente. Ovviamente era utile più tardi per una società autoritaria non incoraggiare l'indipendenza di pensiero. Era utile dunque avere un sistema di pensiero che dipendeva dall'autorità, anche quando l'autorità era un greco antico. Soprattutto in un'epoca quando la gente non poteva leggere quello che Aristotele aveva scritto, era facile per l'autorità attuale di 'interpretare' quello che il maestro ha detto.

Dobbiamo molto, dunque, ai pensatori dell'Illuminismo che hanno rovesciato il vecchio sistema. Hanno dimostrato il beneficio di non accettare il ragionamento basato sull'autorità, ma invece di guardare la vita con occhi nuovi per arrivare a un descrizione del mondo che accorda con la realtà, una realtà che vediamo sempre più chiaramente come facciamo la nostra ricerca. Di conseguenza abbiamo progredito notevolmente la scienza ci ha fornito una vita impensabile dai nostri predecessori. E, a parte i membri del tea-party in America, non siamo disposti a ritornare al mondo autoritario per la nostra scienza. Nell'Ovest, per la maggior parte non siamo nemmeno contenti d'accettare una moralità autoritaria almeno quand'è ovvio che è pazza, per esempio, che dobbiamo permettere il sesso di produrre una quantità illimitata di bambini. Ma devo anche accettare che, per molta gente, non avere la necessità di pensare indipendentemente ma dipendere dall'autorità, può essere confortante - se è l'autorità di qualcuno famoso o l'autorità dell'opinione generale.

Vediamo questa tendenza particolarmente nel mondo politico. Questa è la stagione dei congressi dei partiti politici e è deprimente sentire gli appelli (per i conservatori) al nome Margaret Thatcher o Winston Churchill, o per i laburisti ovviamente non a Tony o Gordo, ma invece ad Aneurin Bevin e John Meynard Keynes. C'è il desiderio di definire ogni partito da quello che i suoi eroi hanno fatto o che credevano (come interpretato dal partito). Solo la menzione del nome Thatcher era sufficiente per produrre l'applauso. I capi hanno bisogno di rassicurare i fedeli che, nonostante l'apparenza, la filosofia del partito non è cambiata. Sembra che, per continuare ad'esistere, ogni partito abbia bisogno d'una identità distinta e perciò quest'identità può cambiare solo molto lentamente. I fedeli non sono per la maggior parte un gruppo che sono in grado d'avere pensieri originali. Hanno una tendenza di pensare come un gruppo. Hanno bisogno d'essere rassicurati che i problemi della società di oggi possono essere risolti usando le idee di ieri. Anche quando non erano vistosamente coronate di successo nel passato che sia la necessità dell'uguaglianza per tutti o il beneficio ovvio del mercato libero, la diminuzione del ruolo dello stato o il suo aumento, Europa si o no. Ma sono ferocemente attaccati alla loro visione del mondo nonostante la mancanza di prove come Aristotele. Sembra che le lezioni dell'Illuminismo rimangano da imparare.

 
 

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